L’ultimo azzurro resiste, non cede ma insiste.
Qui, aspetto le stelle per saper se, domani,
sarà ancora luglio o se il tempo
mi si scioglierà tra le mani.
Stille. Ruhe. Guardo fuori ed è già
passato il presente: ich heiße die Nacht
jetzt herzlich willkommen. Some people
are loud, louder tones awaken me to jingle
and I do. Ecco, ho mescolato gli spazi
e chissà invece tu in che lingua pensi.
Mi guardi. Ti ricordi quella finestra
sul cielo veloce, e i nostri piccoli
baci in francese? Wieder Stille. Ruhe.
Die Zeit kam zu mir und sagte: tue
son le ore e tue le giornate, sii
felice del tintinnar delle fate anche tra
fronde metalliche attorno al cemento.
E vorrei baciarti e invece tu parli
e dici, dal nulla – però era bello
parlarsi in francese. E mi confondi
e allora non parlo ma penso allo
sforzo di chiedere scusa e no,
non è desolazione la nostra se noi
davvero sappiamo amare, non è
discolpa né giustificazione e
nemmeno un leggero – I’m sorry
o un impensabile dispiacere.
In che lingua penso quando penso
che t’amo? E in che lingua ascolti
la musica di un piano? Se il senso
del discorso è nello spostamento
Let us fall. Let us love. Let
this world be wonderful. Silenzio.