#31 città del capo

Il riccio, il riccio venne da me
e col potere del riccio capii perché
è importante potersi fidar del tempo
come di un fiume che scorre, lento
e porta le pietre per la cattedrale
e porta il riso per chi ha troppa fame.
E colsi il motivo della mia immensa gioia
ed era un ananas a trionfare di gloria
nel donarsi a questa mia terra verde
ancora acerba di troppe speranze.

Un ananas, che altro se no? Cos’altro
potrebbe essere il mio simbolo sincero
se non il ricordo di quella che ero
quando in questa vita niente cercavo?

Il riccio mi porta da te, azzurro
mio pianeta, principio e principe
del mio instancabile rinascere e
io mi lascio portare perché davvero
io possa imparare a rinascer immortale.
Ma io chi sono? E chi fu
quella ragazza con l’ananas in testa,
chi sarà questa lupa persa nel blu?

Mi andrò a cercare e non troverò
che delusioni amare però
un giorno la foce si unirà alla sorgente e
l’oceanico mare si farà brillante:
la musica è misura delle mie distanze.

È uno solo e soltanto l’infinito
quando il cerchio si è ben chiuso:
ma infiniti sono i cerchi
nella danza che anima i mondi.

Mi richiama, il riccio
al mio esser terriccio fertile
e acqua dolce tra le pietre.
Cresce l’ananas, giallo di luce,
testimone di una pace già fatta,
sacrificio di rito, impero guarito.

Vi porto in dono un nuovo perdono:
porto l’oblio del bene e del male,
porto il ricordo dell’essenziale.

L’ananas è un frutto da bere e mangiare.

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