dal diario di Antonio / sette di giugno

Oggi, passeggiando, siamo arrivati fino al casolare.

Abbiamo raccolto i frutti dagli alberi in giardino, nell’aria buona e calda, gialla come il nettare, inebriante per gli odori della frutta già a terra.

Nel salone tutto era come l’avevamo lasciato. Anche il libro era aperto ancora a pagina 123, e la penna ancora puntava quella parola che ci aveva sorpresi: PRIMAVERA. Però oggi ne abbiamo colto il significato, annusati i colori più forti, assaporati gli attimi più acerbi, siamo riusciti ad andare avanti.
Ci siamo seduti sul divano, senza accendere il camino come eravamo soliti fare nel lungo inverno, perché adesso fa talmente caldo che il fuoco è indomabile, adesso la primavera è esplosa e la luce è incontenibile e c’è chi dice che le tenebre e il freddo sian finiti per sempre, c’è chi dice che la pazienza ha dato i suoi frutti. Ma ce anche chi dice che tornerà l’inverno, che è bene saziarsi e correre a piedi nudi, c’è chi dice che da domani il giorno lascerà di nuovo posto alla notte, e tutto si riaddormenterà, lentamente. Qualcuno parla di una nuova era: ESTATE. È questa la parola che abbiamo cercato nel libro, invano.

Con i pantaloni sempre più corti e i cappelli di paglia sulla testa siamo tornati fuori, questa volta in terrazza. All’orizzonte niente di nuovo. Abbiamo imparato a cercare la notte oltre le colline, quel poco di notte che resta, per meravigliarci ancora come prima ci meravigliavamo della luce che nasceva e cresceva al di là del fiume.
Ma stanotte la notte non è arrivata. Silvana ha pianto, sta ancora piangendo, vuole partire, forse morire.

In questa giornata infinita invece io potrei vivere per sempre, ho scoperto di saper dormire e sognare anche ad occhi aperti e mi rallegro del canto continuo degli animali che imparo a riconoscere. A turbare la mia inaspettata serenità viene però ogni tanto il pensiero della nuovissima era, misteriosa, in cui si dice che il vento riporterà l’acqua dal cielo alla terra, in cui la luce lotterà per restare, con lampi e saette nelle sere più calde, in cui l’abbondanza raggiungerà il suo splendore per poi lasciar posto alla fatica del lavoro, ad una ancora più nuova era di cui ancora non sappiamo nulla.

Qualcuno raccomanda di raccogliere i semi e di conservarli, qualcuno che ha studiato bene la primavera. Altri scommettono che dopo l’estate, se mai ci sarà, non ci sarà più nulla, mentre altri ancora sono sicuri che la primavera è per sempre, che finita questa era, finiti i suoi frutti, ricomincerà un’altra primavera. L’umanità non conoscerà più inverno.

E io? All’estate ci credo. Si capisce che qualcosa sta cambiando, e credo anche che ci saranno davvero più frutti e che gli animali saranno nostri compagni di gioco, una volta che i cuccioli non andran più difesi. Sono convinto che l’estate sia il vero traguardo, la maturità che tanto abbiamo atteso e di cui potremo finalmente godere. E mi dispiace per Silvana, che crede che questa primavera annunci la fine di tutto, che ha perso la speranza e che vive ancora come nel lungo inverno. Ho raccolto dei fiori per lei e non ha nemmeno voluto guardarne i profumi, non si è soffermata sul velluto del polline né sulla seta dei petali. Tra le mani stringeva una vecchia copertina con il suo nome ricamato sopra, sorseggiava una tisana di zenzero e arancia.

Credo che da oggi le nostre strade si dividano, troppo forte è il suo desiderio di partire per l’inverno e troppo grande la mia voglia di restare. Scrivo su una foglia una parola che la accompagni, SORELLA.

E poi mi invento una parola nuova, qualcosa che possa descrivere l’era ancora più nuova che arriverà dopo l’estate, perché se mai ci sarò voglio poterla chiamare con un nome che sia per me come musica, che somigli a quel grido stentato con cui mi salutava il mio bisnonno più vecchio, AU TUN O!


La firma di Antonio si trova nel Volume II / arance amare, radicchio, cavoletti di Bruxelles delle pagine dai diari dei miei personaggi, pubblicate sotto il titolo: la Semina e il Raccolto.

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